Un evento recentissimo mi spinge ad una riflessione, dolorosa, sulle
caratteristiche della “società scientifica” nel mondo attuale.
Mi riferisco alla pubblicazione di un articolo
https://www.mdpi.com/2076-0817/12/2/233
a firma di 3 ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità che,
con riferimento all’esame dei dati disponibili relativi ai vaccini
anticovid a mRNA (effetti avversi e percentuake di protezione), si conclude con questa frase: Pertanto,
in questa fase, il rapporto rischio/beneficio (dei
vaccini n.d.r.)
potrebbe essere rivalutato anche per le persone anziane. Lo sviluppo
di vaccini più tradizionali basati su antigeni molto meno variabili
e non dotati di effetti tossici intrinseci è altamente auspicabile
per proteggere gli anziani e le persone a rischio.
Un’ affermazione del tutto ragionevole, logica e giustificata, da
veri scienziati insomma!
Ovviamente nel
giro di 48 ore è arrivata
la dissociazione e la dura
critica dell’ ISS verso i
suoi stessi ricercatori che dunque conferma che, oggi, qualsiasi
opinione divergente dalla posizione ufficiale viene condannata senza
neanche il bisogno di un esame critico e di una discussione.
https://www.iss.it/web/guest//comunicati-stampa/-/asset_publisher/fjTKmjJgSgdK/content/id/8242034
Dimostrazione
questa, se per caso ce ne fosse ancora bisogno, che la “scienza”,
oggi, è una religione, oltretutto
oppressiva e sanzionatoria,
con i suoi dogmi assoluti e
i suoi “pasdaran” e
non un sistema
di conoscenze ottenute attraverso un'attività di ricerca
permanente
e una discussione serena e trasparente tra tutti i membri della sua
comunità.
Insomma, la Santa Inquisizione, né più né meno!
Ma una volta non era così!
Riporto 2 esempi, vissuti personalmente nel corso della mia carriera,
per dimostrare ciò cheaffermo.
Il primo si riferisce all’uso dell’acido acetilsalicilico
(l’aspirinetta, come era chiamata quella per i bambini) come
antifebbrile in pediatria.
Fino
agli anni ‘70-’80
era il principale, forse unico, antipiretico utilizzato da noi
pediatri e numerosi erano gli studi scientifici che ne dimostravano
la validità e l’assenza di rischi. Poi cominciarono ad apparire
alcuni
studi
che ne correlavano l’uso
con l’insorgenza di un
effetto
avverso di particolare gravità, la sindrome di Reye. La successiva
discussione nel mondo scientifico portò alla sua eliminazione dal
corredo terapeutico del pediatra. La sostituimmo con il paracetamolo
(la tachipirina)
e nessun pediatra si sogna oggi di prescriverlo,
se
non in casi molto particolari
(kawasaki
e malattia reumatica)
Il secondo è ancora più significativo perché dimostra che, un
tempo, la comunità scientifica non aveva remore o dubbi ad andare
contro anche gli interessi commerciali delle aziende se era in gioco
la salute.
Parlo
della
pratica dello
“svezzamento precoce”, cioè dell’introduzione di cibi solidi
(e dunque delle pappe con farine di cereali di vario tipo e degli
omogeneizzati, i
cosiddetti baby food)
a partire dal terzo mese di vita. Numerosi articoli scientifici ne
decantavano
i vantaggi e, per 4-5 anni, fu consigliata, negli
anni ‘80, ai
genitori da tutti i pediatri, Poi, studiando i dati relativi ai
problemi che potevano
insorgere
nei lattanti in relazione a questa tipologia di svezzamento (aumento
delle malattie allergiche, maggior rischio di celiachia, rischio di
sviluppare diabete, obesità in età adulta) si
ritornò alla consuetudine dell’allattamento esclusivo, se
possibile,
fino al sesto mese di vita.
Credo che questa revisione critica non fece assolutamente piacere
alle industrie degli alimenti per bambini che rappresentano, allora
come oggi, industrie ad altissimo fatturato, ma comunque dovettero
fare buon viso a cattivo gioco.
Ma un tempo le cose funzionavano così e la “salute” era, in
fondo, l’obiettivo principale,
Possiamo oggi affermare la stessa cosa?